venerdì 26 aprile 2013
giovedì 11 aprile 2013
IL cavaliere oscuro - Il ritorno
“La resa dei conti di Gotham” è arrivata:
grazie a Bane (Tom Hardy), il nuovo villain
di The Dark Knight Rises. Il mercenario-terrorista,
il falso rivoluzionario che finge di sovvertire le gerarchie sociali (i poveri
alla ribalta, i ricchi a mangiare la polvere) per il sadico piacere di
instillare speranza nel popolo. Prima di ricacciarlo senza appello nella
disperazione.
La fine è segnata: una bomba
nucleare è in procinto di esplodere. La distruzione totale si avvicina. E
Batman? Lo ritroviamo recluso nel suo maniero. Un pensionato in vestaglia che si
trascina col bastone, isolato dal mondo (uno smunto e anchilosato Christian
Bale). Saranno un giovane poliziotto,
Blake (Joseph Gordon-Levitt), orfano come Wayne, e il precipitare
degli eventi, a convincerlo a tornare in azione.
Per affrontare Bane e sventare
la minaccia di un ancor più misterioso nemico celato nell’ombra. Nel terzo capitolo della saga sul
pipistrello, Christopher Nolan si spinge in profondità. Approda all’ultimo
livello (come nei labirinti onirici di Inception,
2010) della narrazione densa, centrifuga e pluristratificata che denota il suo
cinema.
Il prologo è mozzafiato. Tornano gli
inseguimenti
adrenalinici per le strade di Gotham, con il nuovissimo bat-wing che
vola cannoneggiando tra i grattacieli. Ritmi frenetici alternati a spezzoni più
introspettivi. Atmosfere cupe e fatalistiche da tragedia imminente. Stemperate
però dal consueto e irresistibile humour
di Alfred (Michael Caine) e di Lucius Fox (Morgan Freeman). Spicca il fascino
felino di Anne Hathaway nei panni di Catwoman/Selina Kyle. La gatta ladra,
personaggio che vuole azzerare la sua identità, con uno smacchiatore che
cancelli i suoi precedenti dalle banche dati. Forse invidia la libertà auto-generativa,
la capacità
di trasfigurazione simbolica di Bane, che può riscrivere a piacere la
propria storia tramite narrazioni (la leggenda della fuga dal pozzo). Per lei,
invece, “è impossibile ricominciare”. Nolan gestisce la corposa
sceneggiatura con abilità, senza perdere il filo tra presente e passato, tra
veri e falsi flashback, tra dimensione
intima e destini globali.
Accanto al pregevole intrattenimento di qualità, le
metafore sull’incubo sociale e urbano degli anni Duemila sono
decisamente incisive. Bane in una scena fa irruzione nella
Borsa-valori, crivellata di colpi: è il collasso della speculazione finanziaria.
La rivincita del popolo (Bane è travestito da fattorino, i suoi scagnozzi
mimetizzati tra lustrascarpe e uomini delle pulizie), defraudato di beni e
denaro dai crack della crisi economica. La massa che si ribella agli gli
squali-manager (il set newyorkese del film viveva a stretto contatto con le proteste
di Occupy Wall Street).“Questa è una Borsa-valori, non ci sono soldi da
rubare” tenta di spiegare un impaurito broker.“Davvero? E allora perché siete
qui?” accusa Bane. Conscio del nefasto potere del Dio denaro, ormai entità
invisibile, smaterializzata. Già il Joker in Il cavaliere oscuro (“The Dark Knight”, 2008) rubava banconote
al solo scopo di ammucchiarle e darle alle fiamme (la svalutazione del denaro come bene
reale, tangibile, era già tematizzata).
Bane va oltre. È
il ladro
dell’immateriale, si appropria di flussi di dati, di titolarità e identità
altrui (le impronte di Wayne sottratte per mandarlo in rovina). Annulla le istituzioni:
si installa nel Municipio di Gotham, baluardo di legge e ordine, e ne rovescia
il senso, inscenando grotteschi processi-farsa ai ricchi della città. Vittime
del suo giustizialismo sommario e sanguinario (è forse la deriva del sistema-giustizia
in America?). Mina letteralmente alla base il Sistema e il suo luogo cardine,
la metropoli. Con le colate di cemento cariche di esplosivo (sintomo di urbanizzazione
incontrollata), che spazzano via grattacieli, strade, ponti di Gotham. E vuole la sua rivincita su
Batman.
Per Bane, Bruce Wayne è il simbolo della società dell’opulenza che deve
essere annientata. Pertanto lo getta, per contrappasso, in un lurido
pozzo-prigione. Facendone il simbolo di benessere, ricchezza, potere decaduti.
In più, estromette Batman dal terreno dell’oscurità. Rivendicandola come ambito
simbolico di sua esclusiva pertinenza. Al contrario di Wayne che, nato negli
agi, ci si è immerso solo successivamente (“Tu hai solo adottato le tenebre. Io
ci sono nato”).
Nolan prosegue nel campionario
di icone di sicurezza e protezione mandate in frantumi: dopo il camion
dei pompieri incendiato e l’ospedale fatti saltare in aria da Joker in The Dark Knight, è la volta del campo
di football, tempio americano per eccellenza, che si squaglia aprendosi in una
spaventosa voragine. I vigilantes sono assenti, impotenti (l’intera forza di
polizia viene intrappolata con l’inganno nelle fogne).
Per fortuna interviene Batman, non
prima della sua ennesima risalita dal pozzo, dalle sue paure e dai suoi demoni originari. Colossale, imperdibile capitolo finale della trilogia nolaniana
sull’uomo pipistrello.
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