domenica 27 aprile 2014

Il blackout dell'eroe


Qual è il potere decisivo di un supereroe, la ragione ultima del suo ascendente sulle masse? Una natura superiore e indistruttibile? Qualità dei mezzi in dotazione, potenza di fuoco? La scelta di servire il bene ridestando speranza nella gente?  The Amazing Spider-Man 2 - Il potere di Electro va oltre doti sovrumane e skills ineguagliabili di Uomo Ragno e relativi avversari. Per rintracciare la questione sul terreno della visibilità del superhero, del suo tasso di penetrazione dell’immaginario dei newyorkesi (Spidey, rispetto alla grandeur spropositata e alla mobilità senza confini di un Thor o un Iron Man qualsiasi, resta un vigilante strettamente cittadino). Nella copertura degli spazi urbani, nella percezione del pubblico e dei media (e, per estensione, dell’audience cinematografica), al di là degli immancabili dibattimenti giornalistici su Spider-Man “Hero or Menace” che si trascinano dalla trilogia di Raimi, giù fino alle derive mitomani di Max Dillon. 
Il teatro dello scontro non può che essere Times Square, tripudio di luce e megaschermi, la folla assiepata sulle gradinate. Spider-Man, idolo mediale in overlap di immagini coreografate, le imprese monitorate in live-action dai notiziari, versus Electro o l’Uomo Invisibile, il Signor Nessuno Max Dillon catapultato all’improvviso sotto le luci della ribalta. Il  vero (super)potere di Electro evocato dal sottotitolo non è tanto la manipolazione di circuiti elettrici, ma la fatale opportunità di imporsi visivamente a tutti.  Freak gigantesco e onnipresente sui display del palcoscenico urbano, finalmente fuori dal blackout insopportabile dell’anonimato. Rubando a Spiderman il suo cono di luce, avvolgendo la City in un buio livido e ancestrale, per essere adorato come un Dio, o una versione rozza e naïf del Dr. Manhattan snyderiano. 



Così, accantonata l’allegria scanzonata con cui salvava i passanti dai pericoli, lo Spider-Man di Andrew Garfield affronta il suo lato in ombra, quasi fosse intaccato dalla materia nerastra che lasciava impantanato nella crisi il suo predecessore Tobey Maguire. Sfumano i toni da high-school del primo capitolo e, sulla scia del discorso post-diploma di Gwen Stacy, prendono posto timori e incertezze sul futuro. Scelte sofferte da fare e da accettare, tentando di fare i conti con il passato (le ricerche sul padre scomparso). Compreso quello che si riaffaccia nel volto ossuto dell’azzimato Harry Osborn, di ritorno dopo un lungo esilio-blackout.  Peter e Harry. Spider-Man e Goblin. Il rapporto tra i due orfani “scaricati” diventa simbolo della filiazione genetica diretta, del Dna ereditario comune tra main hero e villain (il veleno nel sangue di Harry viene dai ragni Oscorp responsabili della mutazione di Peter), prodotti di due concezioni opposte ma pericolosamente miscelate della scienza, incarnate da Richard Parker e Norman Osborn. Nuove genesi e continue (auto)ricostruzioni  dei tessuti narrativi e dei profili dei characters (proprio come nella struttura cellulare degli aracnidi) a partire da filamenti comuni. Sembra questa la cifra distintiva della saga-reboot di Spider-Man, se anche Curt Connors mutava incrociando molecole sviluppate alla Oscorp e lo stesso Max Dillon rinasce da una vasca dei medesimi laboratori. Spider-Man (ri)adatta costume e programmi d'azione alle nuove materie. Qui le scosse ad alto voltaggio di Electro, eluse con tuta magnetizzata con un esperimento da liceale, a segnalare comunque l’ancoraggio a una dimensione teen (pur con netta virata verso un mood più adulto e problematizzato). Fino all'identificazione con la spavalda incoscienza infantile: Peter salva dai bulletti proprio il bambino che diventerà suo coraggioso sosia-emulatore, piccolo faro di speranza nel momento di blackout dell'eroe. 
Un aiuto decisivo stavolta lo offrirà anche Gwen Stacy, in una caratterizzazione femminile operativa, non banalmente relegata a fidanzata da “parcheggiare” al sicuro durante i frammenti d’azione che intervallano il melò (e non viceversa), vero cuore pulsante della narrazione. Marc Webb è a suo agio (lo ricordiamo regista di giovani disillusioni amorose in (500) giorni insieme, 2009), anche se la dichiarazione "intessuta" dal suo Spider-Man sul ponte di Brooklyn non raggiunge il cult del bacio sottosopra di Raimi. Prima del congedo, lo sviluppo orizzontale delle trame ha il tempo di incubare i semi di future comparsate illustri, per ora fugacemente introdotte (la silhouette di Mr. Fear) o esposte solo in vetrina. Con la promessa di veder presto spuntare i tentacoli di Doc Ock o il costume alato di Avvoltoio.