Prima ancora dei proclami di guerra
persiani alla democrazia ateniese, c’è una netta dichiarazione d’intenti
nell’incipit di 300 – L’alba di un
impero. E viene da indizi extrafilmici che subito ne fissano la natura di crossover intertestuale. I loghi Warner
Bros. e Legendary Pictures diventano giganteschi portoni/portali di pietra spalancati
dalla m.d.p., varcati sino a un muro raffigurante il bassorilievo dei cadaveri
ammassati dell'esercito di Leonida. La parete dissolve nell’inquadratura in plongée sui corpi “reali” del film di
Snyder. La cinepresa avanza poi verso il basso, con movimento opposto e
speculare a quello del finale di 300
(dal particolare al generale, zoom all’indietro sui guerrieri morti).
L'israeliano Noam Murro innesta l’ingresso e il centro gravitazionale del suo film laddove “usciva” quello di Snyder. L’alba di un impero si (ri)fonda sulla memoria e sul culto dei corpi dilaniati del predecessore, riesumati dalla voice over della regina di Sparta. Il recupero del martirio guida tanto l’operazione cinematografica quanto l’offensiva disperata degli ateniesi di Temistocle. 300 rivive, resuscita (Rise of an Empire) come corpo-film sacrificale, nuovamente saccheggiato, utilizzato come (pre)testo per un'ulteriore (s)carica sanguinolenta in overdose di ralenty e decapitazioni digitali. Così come il sacrificio di Leonida diventa la scintilla che muove la narrazione e smuove la regina Gorgo all’azione decisiva in soccorso di Temistocle. Non a caso, appena gli schieramenti alleati convergono, il film si interrompe perché ha realizzato il suo progetto: fondere il corpus guerresco della saga (Sparta e ora Atene) sotto il segno non dell’epica ma dell'«estasi della spada e della carne», del sangue e della rabbia, dei muscoli e del sudore. Il resto è irrilevante, bozzetti in stile graphic novel affidati ai titoli di coda.
Fedele allo spirito generale, l’algida e tenebrosa Artemisia di Eva
Green, sensualissima regina dell’attrazione/repulsione (maschile), si lancia in
un amplesso con Temistocle girato come combattimento corpo a
corpo (ormai avvezza alla lotta sessuale caotica e coreografata dopo la
performance ipercinetica in Dark Shadows di
Burton). Ed è sempre lei a spingersi la lama contro il ventre mentre fissa il suo
esecutore, come accadeva al capitano Artemis (sic) di 300. L'ossessione terminale per una morte (in)gloriosa.
L’alba di un impero è incessante
controffensiva alternata di cinema coinvolgente e respingente. Se il frenetico
piano-sequenza con Temistocle a cavallo verso la nave di Artemisia getta lo
spettatore nel caos della battaglia, il sangue che sovente macchia la
lente della camera rivela la presenza dell’artificio, condannando alla piattezza videoludica il delirio muscolare dei personaggi. Paradossalmente, siamo tenuti al di qua dello schermo anche quando
il 3d tenta di farci trangugiare fiotti di sangue a ripetizione. Questa è Sparta, prendere o lasciare.