Il futuro ha inizio nel 1973, nel
dopo-Vietnam degli accordi di Parigi. L’ora X scatta con l’omicidio del
creatore delle Sentinelle, meccanoidi capaci di adattarsi ai mutanti e annullarne
i poteri. Mystica è catturata, i suoi geni rubati, i mutanti prossimi all’estinzione
in pochi decenni. Dal futuro, Xavier e Magneto spediscono Wolverine indietro
nel tempo, per cambiare il corso della Storia e salvare il destino della
specie.
Nostalgia vintage e revisionismo mutante sembrano essere le coordinate di X-Men – Giorni di un futuro passato. Esplorati
i turbolenti anni Sessanta con X-Men – First
Class (2011), il secondo pannello della trilogia-reboot affonda le radici negli ancor più critici e criptici Settanta.
Dalla crisi dei missili di Cuba al disorientamento post-Vietnam in era Nixon,
tra i due capitoli si inscrive lo sfaldamento del mito democratico della nuova
frontiera. Che qui significa innanzitutto integrazione dei
mutanti, o loro definitiva eliminazione. La natura anche politica dell’operazione
di Bryan Singer, rientrato al timone della serie, salta all’occhio in una
sequenza chiave, sotto apparenze innocuamente ludiche. Quella in cui
l’ipercinetico Pietro/Quicksilver, fatto evadere Magneto, respinge l’assalto dei vigilanti allentando il tempo,
imprigionando i personaggi nel fermo-immagine. Lui accelera con la musica,
elemento strutturante, con Time in a
Bottle di Jim Croce a far da bolla, capsula condensatrice di un tempo
altro, prendibile, malleabile. Dove il gesto di scansare un’arma o curvare un
proiettile concretizza il desiderio utopico di deviare le traiettorie della
Storia per rimetterla sui binari giusti, con una brusca inversione a X nella
saga dei mutanti.
Days of Future Past applica alla continuity narrativa
la stessa logica di successioni e dirottamenti temporali attuata dal film: il
tempo come fiume che scorre in una direzione precisa, dove un’onda anomala o una
pietra scagliata nell’acqua posso modificarne il corso, produrre una falla. Così
il moto della saga X-Men procede linearmente (anche quando trascura l’ordine
cronologico), ma all’azione dei singoli (film e/o personaggi) concede di
introdurre discrepanze, cambiare il proprio ruolo/destino all’interno della continuity, deviando tangenzialmente o
addirittura invertendo la rotta del senso e degli intrecci (emblematica
l’immagine di chiusura, che semina nuovi dubbi sulle gesta del maggiore Stryker).
Non è un caso che dello sbalzo temporale
si faccia carico proprio Wolverine, il solo mutante a godere di un filone
cinematografico dedicato e indipendente
(i due spin-off X-Men le origini: Wolverine, 2009, e Wolverine
– L’immortale, 2013), anche in contraddizione con gli eventi della trama principale
(rimandiamo a Wikipedia per i dettagli). Ma contestare le incongruenze di continuity sarebbe come tacciare di
anacronismo la rivisitazione degli eventi storici. Filologicamente corretto ma
fuorviante, in un film che negli sfasamenti temporali trova il suo centro, al
pari dei cortocircuiti allacciati con il cinema di fantascienza. Il confronto
diretto tra il Charles Xavier sdoppiato (giovane e invecchiato), oltre a
gettare un ponte tra la prima trilogia e il nuovo corso, replica quello tra le
due versioni di Spock negli Star Trek
(2009-2013) di J.J. Abrams (su uno schermo, inoltre, si scorge per alcuni istanti
un episodio, Al di là del tempo,
tratto dalla serie originale, incentrato proprio su un viaggio indietro nel
tempo). Altri innesti provengono dall’universo serial contemporaneo (il Peter Dinklage di Game of Thrones) e da Christopher Nolan, con la Ellen Page di Inception (2010) a guidare il
sonno/sogno di Wolverine, o Magneto che sale al potere dal centro dell’arena sportiva
come il Bane di The Dark Knight Rises
(2012).
L’unico futuro non ancora passato è quello
delle immagini preservate dal cinema e dal suo immaginario. E che proprio
attraverso l’azione del cinema possono “mutare”, se non per riscrivere, almeno
per ripensare la Storia, ripristinando una speranza e uno spirito del tempo che forse, come un gene-X, hanno saltato questa generazione. Ecco la ragione del formato sgranato in Super-8, con in sottofondo il
rumore della bobina, per filmare alcuni frammenti dell’irruzione degli X-Men ai
trattati parigini. Lo stesso Super-8 che ha catturato le celeberrime riprese
dell’omicidio Kennedy, mostrando tutto senza spiegare nulla. Magneto ha fatto
centro o tentava di deviare il proiettile? (McAvoy li curvava in Wanted, ma
qui è un ammaccato Xavier senza poteri). La verità sul passato resta un
paradosso fuori dal tempo. E non sarà un caso che in una sequenza Erik si
preoccupi di estrarre da un proiettore una bobina compromettente, sottraendola al passato per nasconderla al futuro.