giovedì 11 aprile 2013

IL cavaliere oscuro - Il ritorno




“La resa dei conti di Gotham” è arrivata: grazie a Bane (Tom Hardy), il nuovo villain di The Dark Knight Rises. Il mercenario-terrorista, il falso rivoluzionario che finge di sovvertire le gerarchie sociali (i poveri alla ribalta, i ricchi a mangiare la polvere) per il sadico piacere di instillare speranza nel popolo. Prima di ricacciarlo senza appello nella disperazione.

La fine è segnata: una bomba nucleare è in procinto di esplodere. La distruzione totale si avvicina. E Batman? Lo ritroviamo recluso nel suo maniero. Un pensionato in vestaglia che si trascina col bastone, isolato dal mondo (uno smunto e anchilosato Christian Bale). Saranno un giovane poliziotto, Blake (Joseph Gordon-Levitt), orfano come Wayne, e il precipitare degli eventi, a convincerlo a tornare in azione. 

Per affrontare Bane e sventare la minaccia di un ancor più misterioso nemico celato nell’ombra. Nel terzo capitolo della saga sul pipistrello, Christopher Nolan si spinge in profondità. Approda all’ultimo livello (come nei labirinti onirici di Inception, 2010) della narrazione densa, centrifuga e pluristratificata che denota il suo cinema. 

Il prologo è mozzafiato. Tornano gli inseguimenti adrenalinici per le strade di Gotham, con il nuovissimo bat-wing che vola cannoneggiando tra i grattacieli. Ritmi frenetici alternati a spezzoni più introspettivi. Atmosfere cupe e fatalistiche da tragedia imminente. Stemperate però dal consueto e irresistibile humour di Alfred (Michael Caine) e di Lucius Fox (Morgan Freeman). Spicca il fascino felino di Anne Hathaway nei panni di Catwoman/Selina Kyle. La gatta ladra, personaggio che vuole azzerare la sua identità, con uno smacchiatore che cancelli i suoi precedenti dalle banche dati. Forse invidia la libertà auto-generativa, la capacità di trasfigurazione simbolica di Bane, che può riscrivere a piacere la propria storia tramite narrazioni (la leggenda della fuga dal pozzo). Per lei, invece, “è impossibile ricominciare”. Nolan gestisce la corposa sceneggiatura con abilità, senza perdere il filo tra presente e passato, tra veri e falsi flashback, tra dimensione intima e destini globali. 


Accanto al pregevole intrattenimento di qualità, le metafore sull’incubo sociale e urbano degli anni Duemila sono decisamente incisive. Bane in una scena fa irruzione nella Borsa-valori, crivellata di colpi: è il collasso della speculazione finanziaria. La rivincita del popolo (Bane è travestito da fattorino, i suoi scagnozzi mimetizzati tra lustrascarpe e uomini delle pulizie), defraudato di beni e denaro dai crack della crisi economica. La massa che si ribella agli gli squali-manager (il set newyorkese del film viveva a stretto contatto con le proteste di Occupy Wall Street).“Questa è una Borsa-valori, non ci sono soldi da rubare” tenta di spiegare un impaurito broker.“Davvero? E allora perché siete qui?” accusa Bane. Conscio del nefasto potere del Dio denaro, ormai entità invisibile, smaterializzata. Già il Joker in Il cavaliere oscuro (“The Dark Knight”, 2008) rubava banconote al solo scopo di ammucchiarle e darle alle fiamme (la svalutazione del denaro come bene reale, tangibile, era già tematizzata). 

Bane va oltre. È il ladro dell’immateriale, si appropria di flussi di dati, di titolarità e identità altrui (le impronte di Wayne sottratte per mandarlo in rovina). Annulla le istituzioni: si installa nel Municipio di Gotham, baluardo di legge e ordine, e ne rovescia il senso, inscenando grotteschi processi-farsa ai ricchi della città. Vittime del suo giustizialismo sommario e sanguinario (è forse la deriva del sistema-giustizia in America?). Mina letteralmente alla base il Sistema e il suo luogo cardine, la metropoli. Con le colate di cemento cariche di esplosivo (sintomo di urbanizzazione incontrollata), che spazzano via grattacieli, strade, ponti di Gotham. E vuole la sua rivincita su Batman. 

Per Bane, Bruce Wayne è il simbolo della società dell’opulenza che deve essere annientata. Pertanto lo getta, per contrappasso, in un lurido pozzo-prigione. Facendone il simbolo di benessere, ricchezza, potere decaduti. In più, estromette Batman dal terreno dell’oscurità. Rivendicandola come ambito simbolico di sua esclusiva pertinenza. Al contrario di Wayne che, nato negli agi, ci si è immerso solo successivamente (“Tu hai solo adottato le tenebre. Io ci sono nato”). 

Nolan prosegue nel campionario di icone di sicurezza e protezione mandate in frantumi: dopo il camion dei pompieri incendiato e l’ospedale fatti saltare in aria da Joker in The Dark Knight, è la volta del campo di football, tempio americano per eccellenza, che si squaglia aprendosi in una spaventosa voragine. I vigilantes sono assenti, impotenti (l’intera forza di polizia viene intrappolata con l’inganno nelle fogne). 

Per fortuna interviene Batman, non prima della sua ennesima risalita dal pozzo, dalle sue paure e dai suoi demoni originari. Colossale, imperdibile capitolo finale della trilogia nolaniana sull’uomo pipistrello.

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