venerdì 2 maggio 2014

Il più antico del mondo


Ogni film che annoveri nel cast l’ingombrante presenza iconica di Woody Allen si prende un rischio: quello di diventare facilmente, nella percezione e nelle attese del pubblico, un film “di” Woody Allen a tutti gli effetti, anche quando trattasi di progetto scritto e/o diretto da terzi, nel qual caso Gigolò per caso di John Turturro. L’effetto è duplice. Se da un lato ci si assicura credito immediato presso la platea ampia e trasversale affezionata alla comicità del genio newyorkese (in questo senso, fin dal trailer Gigolò per caso regala pillole a ripetizione dell’Allen mattatore umoristico), dall’altro si rischia di appoggiarsi esclusivamente alla sua performance nel costruire il film, e quindi valutarne la riuscita complessiva, trascurando la presenza di una sensibilità registica e stilistica altra (per quanto magari affine, con Turturro cresciuto come Allen tra gli isolati di Brooklyn).
Si fa questa premessa per scoprire che Fading Gigolò è invece un film ascrivibile a pieno titolo a John Turturro, infuso del suo carisma attoriale misurato ma tosto, sempre attento a non lasciarsi fagocitare dalla presenza straripante di Allen. Turturro ne ingaggia le nevrotiche prestazioni sopra le righe per poi farsi avviare dal suo alter ego Dan Bongo al mondo del ménage a pagamento, e da lì cercare una personale strada (registica). Sotto il segno di una teatralità smaccata. Il mestiere più antico del mondo sembra essere la simulazione. La performance a letto è sess(i)o(ne) attoriale, recita in “anteprima privata” di un sicuro successo con le donne (I’m just a gigolò/and everywhere I go/people Know the part I’m playing” canta Louis Prima nel trailer). 
Se i primi minuti seguono un andamento da commedia pura, imperniato sulle gaffe della strana coppia alle prese con l’azzardo della prostituzione part-time, pian piano emerge una dimensione più intimamente malinconica. Temperata dall’ironia e da parentesi di grottesco ispirate ai fratelli Coen (presso i quali Turturro ha effettuato molto del suo apprendistato artistico): Bongo fronteggia impaurito i tre rabbini del tribunale ebraico ortodosso quasi fosse il Larry Gopnik di A Serious Man, 2009
Nondimeno resta ficcante la descrizione di una solitudine metropolitana fatta di appartamenti, stanze, quartieri e gruppi sociali non comunicanti. Individui che si riconoscono nella loro disperazione discreta (Fioravante/Virgil abbordato da una sua avvenente “collega”), guardandosi (“Tu mi vedi dentro” confessa la giovane vedova Avigal prima di togliersi la parrucca, l’habitus sociale), senza però arrivare a toccarsi. Le mani di Fioravante sulla schiena di Avigal subito scatenano il pianto e la paura di scoprirsi (ancora vivi). È la stagione (immutabile?) dei sentimenti sbocciati per appassire all’istante, come i fiori del protagonista. Anche la spiegazzata Sharon Stone è versione sbiadita della mangiauomini fatale di Basic Instinct, alla quale non basta più accavallare gambe per prostrare uomini ai suoi piedi, ingraziati a suon di mance e cioccolatini. 
Rapporti interrotti e amori a rapida dissolvenza (fading, appunto). La stessa dell’immagine in pellicola, che nell’incipit passa dalla fotografia sgranata e ingiallita di una New York autunnale rimembrata con nostalgia allo scenario attuale, pervaso di luce limpida e (ri)pulita ma certo più anaffettiva. Con lo scarto d’epoca saldato nella bottega di libri antichi in procinto di chiudere. In mezzo si è persa tanta, autentica Passione. Quella che Turturro prova a restituire con le vibrazioni del percorso melodico, vero sottotesto emotivo, tra cadenze jazz alleniane, lo Sway di Dean Martin, i passi latini a braccetto con la Vergara, con il culmine nell’interpretazione vernacolare di Vanessa Paradis di Tu si’ ‘na cosa grande di Modugno. Innamorarsi, il mestiere più antico del mondo.

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