giovedì 13 marzo 2014

L'estasi della spada: 300 - L'alba di un impero


Prima ancora dei proclami di guerra persiani alla democrazia ateniese, c’è una netta dichiarazione d’intenti nell’incipit di 300 – L’alba di un impero. E viene da indizi extrafilmici che subito ne fissano la natura di crossover intertestuale. I loghi Warner Bros. e Legendary Pictures diventano giganteschi portoni/portali di pietra spalancati dalla m.d.p., varcati sino a un muro raffigurante il bassorilievo dei cadaveri ammassati dell'esercito di Leonida. La parete dissolve nell’inquadratura in plongée sui corpi “reali” del film di Snyder. La cinepresa avanza poi verso il basso, con movimento opposto e speculare a quello del finale di 300 (dal particolare al generale, zoom all’indietro sui guerrieri morti). 


L'israeliano Noam Murro innesta l’ingresso e il centro gravitazionale del suo film laddove “usciva” quello di Snyder. L’alba di un impero si (ri)fonda sulla memoria e sul culto dei corpi dilaniati del predecessore, riesumati dalla voice over della regina di Sparta. Il recupero del martirio guida tanto l’operazione cinematografica quanto l’offensiva disperata degli ateniesi di Temistocle. 300 rivive, resuscita (Rise of an Empire) come corpo-film sacrificale, nuovamente saccheggiato, utilizzato come (pre)testo per un'ulteriore (s)carica sanguinolenta in overdose di ralenty e decapitazioni digitali. Così come il sacrificio di Leonida diventa la scintilla che muove la narrazione e smuove la regina Gorgo all’azione decisiva in soccorso di Temistocle. Non a caso, appena gli schieramenti alleati convergono, il film si interrompe perché ha realizzato il suo progetto: fondere il corpus guerresco della saga (Sparta e ora Atene) sotto il segno non dell’epica ma dell'«estasi della spada e della carne», del sangue e della rabbia, dei muscoli e del sudore. Il resto è irrilevante, bozzetti in stile graphic novel affidati ai titoli di coda.
Fedele allo spirito generale, l’algida e tenebrosa Artemisia di Eva Green, sensualissima regina dell’attrazione/repulsione (maschile), si lancia in un amplesso con Temistocle girato come combattimento corpo a corpo (ormai avvezza alla lotta sessuale caotica e coreografata dopo la performance ipercinetica in Dark Shadows di Burton). Ed è sempre lei a spingersi la lama contro il ventre mentre fissa il suo esecutore, come accadeva al capitano Artemis (sic) di 300. L'ossessione terminale per una morte (in)gloriosa.
L’alba di un impero è incessante controffensiva alternata di cinema coinvolgente e respingente. Se il frenetico piano-sequenza con Temistocle a cavallo verso la nave di Artemisia getta lo spettatore nel caos della battaglia, il sangue che sovente macchia la lente della camera rivela la presenza dell’artificio, condannando alla piattezza videoludica il delirio muscolare dei personaggi. Paradossalmente, siamo tenuti al di qua dello schermo anche quando il 3d tenta di farci trangugiare fiotti di sangue a ripetizione. Questa è Sparta, prendere o lasciare.



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