venerdì 4 luglio 2014

La parte per il lutto



Seguendo l’affastellarsi di edifici, ponti, strade e caseggiati all’interno dell’affollato meta-set di Caden Cotard, il pensiero va alla gigantesca cupola del Truman Show, teatro di emozioni fittizie in diretta, spettacolo di figuranti per l’ignara star principale. Sennonché qui le comparse sono abolite, insieme al confine tra realtà e rappresentazione. Ciascuno protagonista consapevole sul palcoscenico della (propria) vita, opera-cantiere in perenne (ri)costruzione, inevitabilmente incompiuta.

Nel passaggio alla regia con Synecdoche, New York, il mondo-proscenio di Charlie Kaufman diventa luogo dell’ossessione per la nuda verità dentro l’impalcatura della finzione, dispositivo inglobante e non inglobato, rivelato da movimenti di macchina laterali che scoprono il set dove ci aspetteremmo la realtà. L’allestimento di Cotard è un’esistenza parallela in cui prolifera e improvvisa il suo io sdoppiato, senza copione o imposizioni. L’attore sconosciuto Sammy Barnathan (Tom Noonan) assume fattezze e identità di Caden, trovando una porta d’accesso alla sua coscienza, ai suoi desideri, alle sue mancanze (Lack è il cognome della moglie transfuga): è il ribaltamento della penetrazione iconica di Essere John Malkovich. Ma anche l’abdicazione al potere demiurgico e creativo dell’autore espressa dal Christof di The Truman Show. Cotard mantiene il controllo sull'opera-vita solo accettando di destituirsi dal protagonismo della regia. Abbassandosi al ruolo minore di uomo/donna delle pulizie. Eterodiretto e manipolato, con l’attrice Millicent Weems (Dianne Wiest) a suggerirgli pose e battute in auricolare come fosse un comprimario del Truman Show.

Gli interpreti che diventano “padroni” del destino dell'autore con il suo consenso, come in Venere in Pelliccia di Polanski. È questo, e non tanto la contiguità set in studio-New York reale, il vero rapporto di sostituzione attuato dalla sineddoche del titolo. La parte per il lutto. Atti e porzioni di vita assegnate ad altri per elaborare dolori, fronteggiare l’eventualità della morte e vederla concretizzarsi protetti in un ruolo diverso. Barnathan è un Caden Cotard al cubo, aderendo al(la) persona(ggio) con mimesi assoluta, portando a compimento il suicidio da cui Caden è invece distolto. 

Ecco dove si sovrappongono arte e vita, congiunte e inestricabili: nel senso ineluttabile di fine, precarietà (il rapporto di Caden con Hazel e la figlia Olivia) e abbandono (Caden lasciato due volte, dalla compagna e dalla prima attrice Claire). La via d’uscita è non uscire mai dalla parte per continuare a riscrivere, e riscriversi, continuamente. È quello che ha fatto il compianto Philip Seymour Hoffman per tutta una carriera. Qui in un'interpretazione immensa, scavatissima eppure minimale, come quelle che Cotard chiede di vivere ai suoi coinquilini di scena. "Finalmente so come farlo...Ho un'idea" annuncia Caden nel finale. L'attore in cerca della rivelazione decisiva, dell'ennesima sfumatura di sè da immortalare, prima che venga pronunciata la parola fine. Philip Seymour Hoffman ci piace ricordarlo anche così. 

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