martedì 8 luglio 2014

Vezzi di famiglia



La (messa in s)cena per non farli (ri)conoscere. O l’ennesima family reunion allargata di santoni hollywoodiani a farsi riconoscere per l’ennesima volta dentro cliché da loro imposti nella commedia. È il ricevimento apparecchiato da Justin Zackham per Big Wedding. Oscillante tra le imbarazzanti capriole improvvisate da Donald e Ellie per nascondere la separazione all’ultra-tradizionalista madre del figlio adottivo, e tirati siparietti a base di trasgressioni presunte (l’hand-job sotto la tavola preso da 2 single a nozze), equivoci e sorprese dell’ultimo minuto trascinati dalla coppia Robert De Niro-Diane Keaton.


L’uno fa il verso all’incontrario al rigido Jack Byrnes di Ti presento i miei (risultandone non meno conservatore), dandosi a scotch, sigarette e scappatelle extraconiugali, lasciando il ruolo di inquisitore inflessibile alla madre di Alejandro (quando riallaccia il rapporto con la figlia sembra invece il vedovo di Stanno tutti bene). L’altra va in automatico con smorfie nervose e risatine, riproponendo la consueta versione agée della borghese atea-ironica-sofisticata (Tutto può succedere). Sull'altra sponda, le figure insopportabilmente ridicole dei genitori della sposa Amanda Seyfried, buttati lì a forzare colpi di scena più inutili che inattesi. 

Con questi genitori, chissà i figli. Le vicende amorose del segmento young-adult (il trentenne medico vergine Topher Grace incollato a muchacha caliente, l’avvocatessa Katherine Heigl in crisi col compagno) regalano giusto qualche sussulto emotivo, mentre è improponibile trasformare il britannico Ben Barnes in emigrato colombiano. Tra gli altri imbucati, la vispa Susan Sarandon che gioca alle nemiche-amiche con Diane Keaton, e un Robin Williams nuovamente prete (anti)conformista dopo la prova in Licenza di matrimonio (resta però imbattuto il vicario-pugile James Caan di Indovina perchè ti odio). 

Big Wedding vorrebbe indulgere con leggerezza buonista e tolleranza paternalista verso famiglie allargate e unioni interrazziali. Ma diventa presto un elogio istituzionale del più classico dei matrimoni wasp, con più di un’uscita vagamente razzista che manca il riso (Il prete: “Non fanno che uscire cinesi da Harvard”, “Piena di ebrei e portoricani” dice Lyla di Chicago) e insulsa moraletta di fondo: si finge e si mantengono le apparenze per il bene di figli e famiglia unita. Anche fuori tempo massimo, vincono la tradizione e i vecchi leoni (il nuovo matrimonio di Don), con i giovani ad accoppiarsi di soppiatto o sposarsi, ipocritamente, di nascosto. 

Il miglior commento a questo ensemble di moine e cerimonie senili lo piazza la madre di Alejandro, diventando perfetto riassunto del film e di gran parte della wedding comedy americana: “Sembra una telenovela”. E nemmeno delle più ispirate.

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