La (messa in s)cena per non farli (ri)conoscere. O l’ennesima family reunion allargata di santoni
hollywoodiani a farsi riconoscere per l’ennesima volta dentro cliché da loro imposti nella commedia. È il ricevimento apparecchiato da Justin Zackham per Big Wedding. Oscillante tra le
imbarazzanti capriole improvvisate da Donald e Ellie per nascondere la separazione all’ultra-tradizionalista madre del figlio adottivo, e tirati siparietti a
base di trasgressioni presunte (l’hand-job
sotto la tavola preso da 2 single a
nozze), equivoci e sorprese dell’ultimo minuto trascinati dalla coppia Robert De Niro-Diane Keaton.
L’uno fa il verso all’incontrario al
rigido Jack Byrnes di Ti presento i miei (risultandone non meno conservatore), dandosi a scotch, sigarette e scappatelle extraconiugali, lasciando il ruolo di inquisitore
inflessibile alla madre di Alejandro (quando riallaccia il
rapporto con la figlia sembra invece il vedovo di Stanno
tutti bene). L’altra va in automatico con smorfie nervose e risatine, riproponendo la consueta versione agée
della borghese atea-ironica-sofisticata (Tutto può succedere). Sull'altra sponda, le figure insopportabilmente ridicole dei genitori della sposa Amanda
Seyfried, buttati lì a forzare colpi di scena più inutili che
inattesi.
Con questi genitori, chissà i figli. Le vicende amorose del
segmento young-adult (il trentenne
medico vergine Topher Grace incollato a muchacha caliente, l’avvocatessa Katherine Heigl in crisi col compagno) regalano giusto qualche
sussulto emotivo, mentre è improponibile trasformare il britannico Ben Barnes in
emigrato colombiano. Tra gli altri imbucati, la vispa Susan Sarandon che gioca
alle nemiche-amiche con Diane Keaton, e un Robin Williams nuovamente prete
(anti)conformista dopo la prova in Licenza
di matrimonio (resta però imbattuto il vicario-pugile James Caan di Indovina perchè ti odio).
Big
Wedding vorrebbe indulgere con leggerezza buonista e tolleranza paternalista verso famiglie allargate e unioni interrazziali. Ma diventa presto un
elogio istituzionale del più classico dei matrimoni wasp, con più di un’uscita
vagamente razzista che manca il riso (Il prete: “Non fanno che uscire cinesi da
Harvard”, “Piena di ebrei e portoricani” dice Lyla di
Chicago) e insulsa moraletta di fondo: si finge e si mantengono le apparenze
per il bene di figli e famiglia unita. Anche fuori tempo massimo, vincono la
tradizione e i vecchi leoni (il nuovo matrimonio di Don), con i giovani ad accoppiarsi di soppiatto o sposarsi, ipocritamente, di nascosto.
Il miglior commento
a questo ensemble di moine e cerimonie senili lo
piazza la madre di Alejandro, diventando perfetto riassunto del film e di
gran parte della wedding comedy
americana: “Sembra una telenovela”. E nemmeno delle più ispirate.
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