domenica 7 dicembre 2014

Scoregge scoraggianti


«È questione di tempi comici». Nella riuscita di uno scherzo impensabilmente folle come nel successo di un sequel giunto a vent’anni di distanza dal prototipo. Dieci anni prima avrebbe scontato minor efficacia. L’impatto non sarebbe mai stato così divertente. Lo spiega Lloyd Christmas spiattellando il senso della finta paralisi inscenata ai danni del fido Harry Dunne. Ma è soprattutto quanto sembrano pensare i fratelli Farrelly sulla gestazione di Scemo & più Scemo 2. Quasi giustificando il ritardo in sala dei loro tardi beoti, la necessità dell’attesa sorniona prolungata a beneficio di una rimpatriata più clamorosa. 

Parafrasando balordamente la formula di un personaggio di Crimini e misfatti di Allen, ne deriva una comicità risultante dalla somma "demenza + tempo". Lo schema è noto: azione-deiezione. Dissenteria teorica del comic movie. Ovvero escrementismo sovraesposto, sgradevolezza flatulente e caratteri al grado zero del cult Scemo & + scemo (1994) rimessi in scena alla prova del tempo. Tarati sulle goliardate del(l’ec)cesso contemporaneo, fin troppo intasato di leoni allo sbaraglio e rigurgiti di senilità pimpante. Non fosse che lo scarico degli sketch è più rotto di quello su cui stava seduto Harry in Scemo & + scemo. L’intervallo ventennale non ha cambiato nulla. Tolti i siparietti con lo smartphone e i segni dell’età sul volto dei protagonisti, Dumb and Dumber To potrebbe tranquillamente passare per un film del ’95, uscito a ridosso del predecessore. A rivederli assieme, nessuno scarto davvero rilevante. Come un unico film (ri)vissuto - da Carrey e Daniels - e (ri)visto - dallo spettatore - in due età diverse, con immutato e immaturo spirito d’imbecillità decerebrata.  

Road movie a tappe scatologiche e sbandate sessocentriche. La meta da raggiungere, il pacco da consegnare, il cambio di vettura. L’onirismo erotico ora romance ora ninja di Lloyd, lo scambio di persona, complotti e omicidi sventati per caso. Si viaggia all’indietro, all’incontrario come i due scemi, ripiegando su materiale d’altri tempi (comici). Basterebbe la gag sul safe sex, ammuffita già all'epoca del primo Dumb and Dumber, con l’amplesso di Lloyd protetto dal casco a rievocare il Leslie Nielsen infilato nel condom a misura umana di Una pallottola spuntata (1988). 

«La fortuna di non avere un’identità è che non corri il rischio che qualcuno te la rubi» dice in un punto Harry. La demenza irredimibile, geneticamente ereditaria (la storyline di Penny) dei Farrelly resta orgogliosamente autoreferenziale. Fedeltà incondizionata all’insana scempiaggine del modello originario, non più originale. Senza il retroterra ipercitazionista del demenziale di riporto contemporaneo dei vari Scary/Epic/Ghost Movie ed Angry Games (2013). Al netto dell’orrore coppoliano mimato da un pappagallo e dell’«amore lungo lungo» di Full Metal Jacket scimmiottato da Harry e Lloyd.  

Il sospetto è che, più che prestare il fianco a un’ovvia stroncatura, da Comic Movie (2013) in giù i Farrelly si facciano interpreti (consapevoli?) dell’appiattimento di una comicità sguaiata ormai inoffensiva. L'acida involuzione nel bassoventrale spinto e spurgato del primo Dumb and Dumber lascia spazio a una stitichezza indurita. Tra un "culo libre" e l’inveterato "pisellare", è la veracità provocatoria ed eversiva del turpiloquio godereccio a scemare drasticamente, strappando non più di un sorriso affettuoso. Pernacchie ascellari e peti depotenziati, non più infiammabili. Scoregge che scoraggiano, nonostante camei inaspettati e l’idea fake di un Dumb and Dumber For in arrivo (forse) tra vent’anni.  




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