«Io sono Groot».
Nomen omen. Nella battuta
autoreferenziale scandita a ripetizione dalla pianta umanoide si inscrive la natura dell’operazione di James Gunn. Growth
+ Root. Crescita e radici, capacità
di (ri)generazione illimitata. Guardiani
della Galassia apre un (v)arco narrativo nella declinazione sci-fi del Cinematic Universe incrociando gli stilemi consolidati del franchise. L’espansione
spaziale della galassia Marvel, e di un fandom
sempre più allargato e trasversale, passa attraverso l’azzeccato crossover di mood tra la diversità feconda dei perdenti emarginati presa agli X-Men
e le caratterizzazioni stridenti, le punzecchiature rimpallate del Team Avengers.
Scorrendo parallelamente al nastro magnetico vintage un lessico diegetico mutevolmente plurimo, dettato dalla
situazione e dai registri cozzanti dei personaggi. In bilico tra il divertissement letterale e il gioco
metaforico, l’epico e il buffo, «il
grande spettacolo di luci» (parole di
Yondu) e il sostrato di un immaginario mixato di generi e nostalgia eighties che scivola
piacevolmente addosso allo spettatore. Adescato alle citazioni come a godersi
fuor di metafora gli sberleffi insensatamente gratuiti di Rocket e le
smargiassate senza filtro di Drax.
I Guardiani diventano promotori di una divertita odissea nelle meteore raffreddate e decostruite della fantascienza d'antan (Star Wars e Star Trek depurati della filologia rispettosa di Lucas e J.J. Abrams). Rivisitate a tempo di ballate pop-rock, permeabili ad
ogni suggestione ironica ed iconica pur riflettendo minacce contemporanee (i
kamikaze Kree, gli accordi di pace violati). Tra la mutapelle Saldana
e l’incrocio alieno Pratt, Xandar è meta-luogo di mescolanza ibrida come la
Terra è il pianeta degli archetipi di finzione, da Bonnie e Clyde e Billy the
Kid al goffo anticonformismo ballerino di Footloose
(1984). In mezzo sta
la dimora del Collezionista, a custodire reperti museali dell’improbabile fauna Marvel
del passato (la bonus scene amplia
per una volta gli inside jokes pregressi invece di allacciarsi a narrazioni a venire).
La parola chiave è sospensione. Dell’incredulità, ovviamente. Della suspense e dei climax. La gravità pomposa e tonitruante del
cinecomix messa in pausa col rewind
affettivo di un Walkman. Il tempo frizionato, campionato con le (sotto)tracce
musicali, cuffie isolanti un feeling
e capsule condensative di un’epoca. Time in a Bottle, seguendo la hit che in X-Men - Giorni di un futuro passato modellava il ralenty.
A spasso nel tempo negli spazi di una canzone, a conferma di un preciso refrain stilistico. Dentro un vortice di senso stratificato e
sensi galvanizzati in perpetua dilatazione. I Guardiani ritorneranno. Il nuovo equipaggio della Marvel Enterprise(s) è appena salpato.
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