mercoledì 16 gennaio 2013

(S)cene indigeribili



Killer Joe (2011)  
di William Friedkin


Data di uscita italiana: 11 ottobre 2012



Un paesino della provincia texana. Lo sbandato Chris è un giovane spacciatore assediato dai debiti. D’accordo col padre e la matrigna, decide di assassinare la madre per intascare una grossa somma dall’assicurazione. Assolda così il poliziotto Joe Cooper, nel tempo libero infallibile killer. La presenza dell’imprevedibile sorella di Chris, Dottie, e il sorgere di alcuni imprevisti, complicheranno la situazione.



Incipit. Schermo nero. Lo scatto ripetuto di un accendino. Uno sparo secco rompe il silenzio. L’eco si confonde nel fragore di un tuono. Rumori che, dietro una calma apparente, ovattata, nascondono scintille pericolose. Fiammate maligne pronte a divampare all’improvviso. Colpi, scatti e lampi di violenza sul punto di esplodere da un momento all’altro. 
Sono questi i movimenti che attraversano tutto il film. Il regista catapulta lo spettatore al centro di miserie umane ed efferatezze brutali senza preavviso, spiazzandolo di colpo, all’interno di un vortice impazzito.



Friedkin gioca a fare il piromane in un film radicalmente incendiario. Facendo a pezzi tutto e tutti, senza risparmiare nessuno. L’attimo prima c’è una famiglia e il suo strano ospite, seduti per la cena. L’attimo dopo la cucina diventa un ribollire di sangue, urla, pistole, coltelli. Scene da rivoltare lo stomaco si direbbe, visto che siamo a tavola. Viene fatta a fette la società americana. Si scardinano i valori buonisti, l’ipocrisia che cela un feroce cannibalismo, per cui ci si sbrana l’un l’altro anche, anzi soprattutto, tra consanguinei.



Friedkin infonde alle immagini un’inquietudine morbosa, nauseante. Innesca un perverso meccanismo di attrazione/repulsione, in scene che in mano ad altri registi sarebbero risultate goffe (il coito orale mimato con la coscia di pollo, Killer Joe che si struscia sulla ragazzina).


Le sequenze cominciano con le buone maniere. Si  procede con lentezza, ritmo sospeso, atmosfere distese e rilassate, a lume di candela. Poi, di colpo, partono le schegge. Si ribalta volgarmente il “galateo” culinario e civile (Joe rovescia la tavola, fracassa il televisore), cinematografico (si passa dal piano sequenza al sezionamento frenetico). Un incedere di attese spasmodiche e di tensione paranoica. Elementi tipici di Friedkin fin da L’esorcista (1973), e visti all’opera anche nel claustrofobico Bug (2006).




Vengono portate alle estreme conseguenze le nefandezze della crisi economica. In fondo si parla di una famiglia alle prese con un debito enorme che scopre di non poter saldare. Se non al prezzo salatissimo della propria distruzione ad opera di Joe, che per i suoi servigi esige un pagamento in natura, una caparra umana (la giovane Dottie). Altrimenti si riprenderà tutto con gli interessi, con una carneficina, chiedendo un tributo di sangue.


Soldi sporchi e corpi lividi, dilaniati, carbonizzati. Joe è paradossalmente l’unico personaggio che più volte fa richiami all’ordine, all’equilibrio, all’educazione e al rispetto dei patti, in un tessuto sociale sfibrato e irrimediabilmente fuori controllo. Sembra il solo a conoscere le leggi della vita, del mercato. Cita il motto latino Caveat Emptor: attenzione agli acquisti incauti, accertatevi sempre di cosa state comprando. Con questo personaggio, un po’ cowboy senza passato e un po’ Stuntman Mike (Grindhouse di Tarantino, 2007), Friedkin giunge al culmine dello straniamento che segna l’intero film.


Viene ridicolizzato il rituale della preghiera a tavola. Joe diventa il sinistro capofamiglia, lo psicotico padre-padrone il cui unico, folle desiderio, è quello di “mangiare tutti insieme, come una vera famiglia”. La cena è servita: la famiglia americana in putrefazione.

Cast di altissimo livello, fra cui spicca la spigliatissima Juno Temple e un Matthew Mc Conaughey formidabile, in una prova finalmente convincente dopo troppo commedie all’acqua di rose.


Un capitolo e un modo di fare cinema assolutamente imperdibili.

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