giovedì 5 giugno 2014

L'arma del giorno dopo



Il domani non muore mai per il soldato Cage, ed è sempre un buon giorno per morire. Maggiore USA degradato a comune disertore, cade in battaglia e rivive in loop la carneficina compiuta da imprevedibili invasori alieni.  
Edge of Tomorrow, o la guerra dei mondi possibili. Doug Liman recupera da The Bourne Identity la brusca rinascita del protagonista incastrato in un contesto ostile, ribaltandone le premesse: se Jason era l'unico a ignorare la sua identità passata contro un sistema che lo braccava, Cage è il solo a conoscere la verità su se stesso e sulle sorti dell'umanità all'insaputa di tutti.

Il Tom Cruise neo-muscle hero dell'action fantascientifico, condannato all’oblio di memoria (Oblivion) o alla rimozione di un futuro preconizzato da altri ma a lui invisibile (Minority Report), qui riavvolge a ripetizione il tempo bloccandosi in un eterno presente senza domani. Come un Jumper teletrasportato sempre nello stesso punto, in attesa di un'altra prova decisiva dopo quella sfoderata con Jack Reacher (ritrovando Christopher McQuarrie in vesti di sceneggiatore dopo Mission: Impossible - Protocollo fantasma). Il "giorno del giudizio" come immutabile routine addomesticata.


#ViviMuoriRipeti. L’hashtag di promozione sbattuto in locandina e ritwittato da trailer e social network è il fulcro di un dispositivo narrativo a ciclo invariante e ritmo continuo, alla ricerca di un apax risolutivo in mezzo ad ellissi, iterazioni, déjà vu e flashforward depistanti. La progressione accumula i tentativi della mission impossible come una sessione videoludica (elemento già presente nel light novel giapponese di derivazione, All You Need Is Kill). Dove il corpo è già corpse ancor prima di scendere in battaglia, (eso)scheletro di celluloide (“C’è dentro un cadavere in quella tuta” dice di Cage un soldato). E le canoniche partizioni spazio-temporali del war movie, addestramento e campo di battaglia, qui rientrano indistintamente nello stesso ambito della simulazione-tutorial, una palestra digitale. 

Uno sparatutto free roaming in terza persona in cui i giocatori-avatar conservano memoria di mosse ed errori compiuti durante il percorso, sbloccando l’arma del giorno dopo e studiando strategie alternative per raggiungere il checkpoint o la safe zone successiva. Si consumano vite illimitate, salvando i progressi ed eliminando i bug di sistema (la falsa pista approntata dagli alieni). Lo standby non è previsto. Se i danni sono troppi, resettare tutto e ricominciare da capo. 

Cage, intrappolato nella gabbia dell’eterno ritorno, trova il tempo per evadere beffardamente dalla pomposa inflessibilità della retorica militaresca, legata a cliché anacronistici duri a morire (il sergente Farrell di Bill Paxton, che dalla massa di parassiti indifferenziati vorrebbe forgiare un crogiolo di eroi, come una caricatura in baffetti del sergente Hartman). 

Per questo le guerre del futuro assomigliano invariabilmente a quelle del passato. Il secolo breve e il giorno più lungo. Vive, muore e si ripete anche la Storia del Novecento, (conta)minata da riletture aliene. La sanguinaria battaglia di Verdun, monumento di eroismo e resistenza a oltranza, diventa subdola illusione di vittoria e inutile leva di propaganda per reclutare donne-soldato (l’impavida Full Metal Bitch di Emily Blunt). Il nuovo sbarco in Normandia è un’offensiva fallimentare, con i soldati impantanati tra le trincee di sabbia. Per la fine dell’occupazione aliena e la liberazione di Parigi serve uscire dal (corto)circuito videoludico, senza più vite di riserva. Disattivare i bonus, lasciarsi ferire e sanguinare andando incontro a un sacrificio completamente umano. Risvegliarsi finalmente nel domani, per scoprire che è ancora un buon giorno per vivere.

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