giovedì 30 ottobre 2014

Giudice e giuria


L’avvocato trafficone, cinicamente compiaciuto, (auto)assolto da etica professionale e sensi di colpa in attesa di giudizio/redenzione, è spesso al vaglio del cinema americano, dalle derive grottesche della commedia (il Jim Carrey di Bugiardo bugiardo, 1997) alle sfumature più cupe del legal thriller (il George Clooney di Michael Clayton, 2007). Per The Judge sul banco degli imputati sfila stavolta Robert Downey Jr., difensore seriale di colpevoli intento a scagionare il padre rinnegato Robert Duvall da un'ambigua accusa di omicidio. Lo scenario è quello intimo e avvolgente del dramma familiar-generazionale di provincia intriso di riscatto sociale e rude paternalismo da pick-up nel vialetto. Ma il mestierante Dobkin, tra dispute domestiche e dibattimenti in tribunale, gag sul vomito ed echi annacquati di Mystic River (2003), non amalgama a dovere la troppa carne al fuoco. Indeciso, come il cocciuto giudice Palmer, sulla strategia da adottare, in quale sede (indagine procedurale, legal drama, familismo di ritorno, commedia sentimentale) sciogliere caso e nodi narrativi

Il conflitto al vetriolo e la turbolenta convivenza padre-figlio sono ben tratteggiati alternando il riso sbracato alla commozione dolente. Ma l’inutile deviazione negli equivoci amorosi e l’indugio nel pastone ideologico di un patriottismo a mezz’asta (la reputazione-eredità di giusto severo di Duvall da salvarsi al pari dell’inflessibile e incompresa integrità di Reagan, in un tessuto reazionario quasi per legge) minano l’amara sincerità di fondo. 

La regia d’ufficio delega tutto all’intensità degli attori e alla metamorfosi emotiva di Downey Jr. Qui sul doppio scranno del produttore-interprete impegnato a smorzare la consueta maschera di provocatore sfacciato e stronzo irresistibile per una platea di giurati âgé (la maggioranza in sala, richiamata dall’autorevolezza classica di Duvall) più indulgente con un figliol prodigo compassionevole davanti a morte e malattia. Emerge su tutto il paesaggio umano di un’America di rettitudine morale e fiducia nell’individuo come istituzione ultima. Nazione giudice e giuria di se stessa non per sfuggire alle condanne, ma per inchiodarsi a colpe e responsabilità di un passato, pubblico e privato, invariabilmente violento e incidentato. L'obiezione è legittima. 



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