giovedì 23 ottobre 2014

La solitudine del velocista



Il labirinto non al centro di perdizioni di senso e ambiguità della visione, ma dispositivo prigioniero dell’affannosa rincorsa al testo d’origine (il bestseller per ragazzi di James Dashner) e al pretesto narrativo di partenza (la fuga). La solitudine dei Velocisti è la condanna di Maze Runner – Il labirinto all’inseguimento di piste già battute. (Co)azioni di gruppo a ripetere schemi e tipologie dell’universo teen fantasy. La temporalità circolare, la struttura a prove/livelli, la sindrome dell'accerchiamento post-apocalittico immersa in un anti-Eden di prescelti paiono usciti da un distretto minore degli Hunger Games

L'intreccio blando e collaudauto è mappatura intricata ma in fondo lineare di un modello produttivo a scatola chiusa. Attivo a orologeria come la gabbia-ascensore da cui sbucano i personaggi. Appena dirottato con flash(back) alla Lost e dosato a compartimenti (stagni?) di figure dell’immaginario e funzioni narrative sulla scia di Quella casa nel bosco (2012). Munito di entrate (Teresa) e uscite (Alby) calibrate, ostacoli piazzati meccanicamente (i mostruosi Dolenti), resti di memoria disseminati agli angoli e rivelazioni sbloccate al momento giusto. Con le scelte azzeccate di non cadere (per il momento) nel sentimentalismo ricattatorio e di lasciare più di una porta aperta ai sequel

Nell’ostinato Gally, conservatore ottuso che cede alla superstizione nell’impalamento sacrificale del nemico, c’è l'eco del guerriero Jack de Il signore delle mosche. Ma il pessimismo di Golding resta lontano, se a trionfare è l’indiscusso razionalismo decisionale di Thomas. Abbondano le citazioni, dai risvegli in oblio di The Cube (1997) e Total Recall (2012) alle pandemie virali di Cronenberg, con il suicidio in video di Ava Paige, scandito da evocative parole testamentarie («WICKED è buono»), che rimanda a quello di Videodrome (1983). I coloni della Radura come inconsapevole “nuova carne” da laboratorio, antidoto evoluto per malattie cerebrali e defezioni sociali. 

Spunti riflessivi fin troppo marcati visto il target di giovanissimi, fandom affamato di avventure evasive e mitologie friendly senza troppo interesse a rinvangare strati profondi di memoria cinematografica. Chiedendo, al pari dei personaggi, null’altro che un empatico meccanismo di identificazione e un punto di fuga suggestivo dalle manipolazioni degli adulti. Percorsi a brevi distanze che la distopia di Wes Ball è senz’altro in grado di assicurare.  

 

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