martedì 7 ottobre 2014

Mutatis Mutandis



Ridotto all’osso, anzi, al guscio, il plot delle Tartarughe Ninja è la storia di una mutazione. Dei suoi effetti nel tempo, delle scorie sotterranee lasciate nel contesto urbano, mediale e  cinematografico. Origine talmente arcinota da essere relegata nel didascalico prologo-sunto in stile bozzetto fumettoso. Poco interessante, se non involontariamente ridicola, anche quando richiamata nel flashback sulla crescita e l’addestramento dei quattro rettili mutanti (un bignami d’arti marziali ammuffito scovato nelle fogne dall’autodidatta Splinter e il gioco è fatto). Eppure, tematizzare ancora la mutazione e rifletterne sul processo (accidentale o meno?) vale almeno a rintracciare un discorso sulla trasformazione del blockbuster nel transito da una generazione all’altra, nella dialettica produttori-target spettatoriale. Cosa ci dice Tartarughe Ninja di Jonathan Liebesman e Michael Bay in proposito? Che tutto muta profondamente senza in fondo mutare affatto, e a entrambe le parti, autori e consumatori, va bene così. 

Facciamo un parallelo con il film del 1990, Tartarughe Ninja alla riscossa di Steve Barron (Teenage Mutant Ninja Turtles), dimenticato cult adolescenziale dell’epoca e prima sortita in live action dei guerrieri in bandana. Nel passaggio dal B-movie sbalestrato e indipendente ai grossi budget dell’intrattenimento di massa, dagli animatronics rivestiti da Jim Henson (il padre dei Muppets) alle tute per la resa in motion capture, il brand Tartarughe Ninja conserva il suo carattere di universo derivativo, il ruolo di alleggerimento parodico e scrematura ironica dell’immaginario dei filmoni coevi o che appena lo precedono. Le nuove tartarughe arrivano per ultime, dopo tutti i paladini degli anni 2000 (ri)proposti sullo schermo, in fase di piena metabolizzazione dell’ondata di supereroi in digitale, similmente a quanto il film del ‘90 giungeva al culmine degli anni ’80 centrifugandone il melting pot di giustizieri muscolari (Rambo e Terminator citati nelle battute dei Ninja, l’imitazione di Rocky offerta da Michelangelo), e traviandone i racconti di formazione a base arti marziali allora in voga (The Karate Kid, 1984), con le baby-gang di ninja agli ordini di Shredder. 

Il nuovo Michelangelo può dunque fare il verso alla voce arrocchita del Batman di Nolan, ma sono i personaggi tutti a recare in sé qualcosa preso ad altri, a partire dall’April O’Neil di Megan Fox. Un Sam Witwicki di Transformers (2007) al femminile, la fuga dal quotidiano a contatto con materia extra-ordinaria e avventure bigger than life. Un po’ Lois Lane a caccia di un presunto Superman solitario e un po’ Peter Parker fotografo, con i “mostri” invisibili che una Whoopi Goldberg in versione J.J. Jameson non sa se sbattere o meno in prima pagina. Più che a Raimi si guarda piuttosto al primo The Amazing Spiderman (2012) di Marc Webb, con William Fichtner dalla scuderia Bay per un cattivo a due dimensioni che ricalca la storyline di Curt Connors (gli esperimenti coi mutageni in laboratorio, lo scienziato partner oscuro del padre dell’orfano/a protagonista, impegnato/a a decifrare segni di un passato ambiguo). Shredder, privato della mistica da samurai, è un main villain tutto metallo e lame che cingola e rimbomba come un Transformer. Alimentando il sospetto sull’operazione come continuo inseguimento del mero, assordante rumore di fondo. Rifinitissimo trash di lusso che fa rimpiangere quello ingenuamente genuino di Steve Barron, dove Shredder non a caso finiva letteralmente nella spazzatura. 

Narrativamente piatto ma instancabilmente caotico, Tartarughe Ninja dice tutto e nulla di nuovo ai teenager di oggi (mutanti anche loro?), sedotti come ieri dai trend imposti dalle subculture popolari (lo spiega Splinter). Ai ritmi sincopati dell’hip-hop, dalla ninja-dance di Vanilla Ice (Go Ninja, Go Ninja Go!) che in Tennage Mutant Ninja Turtles 2 (1991) impazzava in pista nello scontro tra freaks, fino alle tartarughe di oggi, che sospendono l’azione rappando in ascensore. Per poi piazzare la sfera specchiata sul tettuccio della ninja-car (che vedremo nel sequel già in cantiere). Accessoriata con tanto di Dolby Digital 7.1., per il gasamento di Michelangelo. Se l’andamento è soporifero e tutto sa di già visto, per chi s’accontenta, il volume del blockbuster mai come ora è pompato ai massimi livelli. Cowabunga!

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